Mettere le mani in pasta mi piace tantissimo: ormai lo sanno anche i muri che sporcarmi di farina mi riempie di gioia, mi rilassa, mi distrae mi sfoga! Erano mesi e mesi che inseguivo la ricetta del pane perfetta: ho comprato non so quanti libri, non so quante pagine di giornale abbia strappato in ogni angolo del mondo e non so quanti giri abbia fatto in tutto i blog dell'universo del "www". Ed è proprio qui che trovo le migliori chicche e soprattutto mi accorgo che tutte bene o male si rifanno al pane "senza impasto" e tutti ne glorificano i risultati. Con Francidettobaldo e Tommitommi ci ritroviamo a fare un lungo week end nelle marche e in men che non si dica ci troviamo in mezzo ad una tre giorni di piogge torrenziali, straripamenti e alluvioni che mettono ko la riviera adriatica e i comuni confinanti lasciandoci senza gas e senza luce. Negozi e supermercati non solo irraggiungibili ma chiusi e noi chiusi a lume di candela, ma con una stufa pazzesca in funzione e il forno a legna che Mastro Lodovico riesce ad accendere nonostante le intemperie. E dobbiamo pur mangiare qualcosa no? Ecco che allora ci armiamo di coraggio e tiriamo fuori le farine che Garofalo mi ha regalato a Natale e dalla borsa una delle mie mille pagine strappate e stampate con la ricetta del famoso pane senza impasto. Faccio solo qualche modifica perlopiù legata alla farina, perché ho la fortuna di avere la farina perfetta per il pane (per il resto la ricetta non è farina del mio sacco, ma di una collega blogger!) Diversa forza a seconda di quello che si deve preparare. Andata! Via di pane cafone e salumi e formaggio, che in campagna non mancano mai, insieme a insalata, pomodori e quel poco che siamo riusciti a salvare nell'orto prima della grandine e della pioggia torrenziale.
lunedì 16 giugno 2014
Il pane cafone. Mai più senza
Primo step: pane cafone. Sapete perché si chiama cafone? Perché , si narra, lo portassero i contadini partenopei che non avendo cinture, perché molto poveri, si tenevano su i pantaloni "co' fune": qui, pane cafone! Anche l'etimologia mi è piaciuta tantissimo. Ora non mi resta che sperimentare lo stesso procedimento con altre farine, da quella integrale, a quella di kamut, di farro e via dicendo.
Ingredienti per una pagnotta da cuocere in una pentola di ghisa del diametro di 30cm
1 kg di farina garofalo W 260
5g di lievito secco
700ml circa di acqua tiepida
un cucchiaio di zucchero
20g circa di sale
1 cucchiaio di malto o miele
La sera prima, riunite in una grande ciotola tutti gli ingredienti e mescolate con una forchetta per qualche minuto, giusto il tempo di amalgamare gli ingredienti. Non dovete lavorare né impastare. Ricoprite con un canovaccio e lasciate riposare tutta la notte in un luogo fresco (15-18°): se è estate e fa molto caldo potete metterla nel ripiano inferiore del vostro frigorifero. Il mattino seguente prendete la pasta, rovesciatela su un tagliere coperto da un canovaccio e ripiegatela a fazzoletto: fate due pieghe da entrambi i versi (in tutto 4 pieghe, due nel verso orizzontale e due in senso verticale). Capovolgete e date all'impasto la forma di una palla. Spolverizzate l'impasto con un poco di farina, copritelo e lasciatelo lievitare per altre due ore circa. Poco prima di infornare la vostra pagnotta, prendete la vostra pentola di ghisa (o coccio) e mettetela in forno alla massima temperatura: deve essere rovente! Quindi estraetela e rovesciatevi subito l'impasto (le pieghe devono stare sul fondo della pentola). La pentola rovente farà in modo che la pagnotta a cottura ultimata si staccherà senza problemi. Coprite con il coperchio e fate cuocere per circa un'ora o poco più nel forno alla massima potenza. Trascorso il tempo di cottura, sfornate la pagnotta e lasciatela riposare avvolta in un canovaccio per circa mezzora prima di affettarla. Questa forse è la parte più difficile perché il profumo sarà così invitante che resistere sarà davvero una prova di carattere!
Giò
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